Note della regista e co-autrice
Lena e altre storie" racconta, attraverso un linguaggio teatrale fruibile e dinamico, quadri di movimento fisico in musica e parole che narreranno le vicende che hanno condotto in guerra l'Italia, fino alla Liberazione e alla successiva creazione della Repubblica. Lena, detta Lenuccia, ad esempio, fu una giovanissima partigiana che divenne un'eroina durante le quattro giornate di Napoli (l’unica città che riuscì a liberarsi da sola, senza l'intervento degli alleati). La storia di questa ragazza rappresenta un esempio dell’ “umanità" reale, concreta e coraggiosa che diede vita alle compagini della Resistenza italiana. Attraverso la narrazione di personaggi che hanno appunto vissuto appieno il tumulto di quegli anni si cercherà di ricreare e narrare importanti capitoli della nostra Storia in una formula -ci si augura- accattivante e interessante anche per un pubblico di giovani.
Giorgia Filanti
Note del co-autore e dir. artistico
A volte la rapidità e la conseguente superficialità con cui affrontiamo temi importanti, presi dalla frenesia della vita contemporanea e dal ritmo forsennato dei social, non ci permettono di imparare dagli errori del passato (leggi Storia), col rischio di ripeterli (vedi avvenimenti di questi giorni, nell’est dell’Europa, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo) o di credere alle sempre più frequenti “fake news”. Vogliamo provare, con queste poche righe, a stimolare la curiosità dei lettori (e spettatori della nostra performance), con delle notizie che possano approfondire l’argomento trattato nello spettacolo “Lena e altre storie” Ad esempio, una dei brani italiani più celebri (ne esistono centinaia di cover in molteplici lingue), “glorificato” grazie alla serie tv “Casa di Carta”, è “Bella ciao”. Peraltro è il brano più usato nelle celebrazioni del 25 aprile in Italia e diventato simbolo di varie “resistenze” nel mondo. Ebbene, questo brano pare non fu mai cantato dai partigiani italiani, tranne una minoranza intorno a Modena e Bologna che peraltro riprendevano un canto intonato dalle mondine. La sua ampia diffusione (che sostituì la più usata melodia “Fischia il Vento”) si ebbe solo negli anni Sessanta grazie a Yves Montand, quando la guerra era finita da una ventina d’anni), ma addirittura è una rielaborazione di una canzone scritta da un autore ebreo e ucraino (due popoli, ahimè, tristemente sulla cresta dell’attualità, loro malgrado). Mishka Ziganoff si chiamava il musicista che compose il brano nel 1919 e che fu inciso nel 1921 e 1922 negli Stati Uniti. Quantomeno la prima parte, infatti, è identica al brano che conosciamo. A proposito, il celebre artista Yves Montand, in realtà era italiano (Ivo Livi): era emigrato in Francia negli anni Venti a causa delle frequentazioni socialiste della famiglia, ovviamente molto avverse al regime fascista. Ma torniamo alla nostra storia e alla nascita della Resistenza italiana. Il celeberrimo proclama Badoglio dell’8 settembre 1943 (l’arresa dell’Italia alle nazioni unite, ovvero gli alleati anglo-americani-canadesi) portò lo scompiglio in tutta Italia, ma soprattutto nelle forze armate: i tedeschi, da alleati diventarono nemici. La notizia non aveva ovviamente avuto una preparazione per i comandi militari italiani e nessuno si prese la briga (o era in grado di farlo) di dire alle forze armate come comportarsi di conseguenza. La Germania invase l’Italia settentrionale e quello fu l’inizio vero e proprio del movimento della Resistenza. In realtà l’armistizio era stato firmato a Cassibile (SR) il 3 settembre e sarebbe stato dovuto diffondere alcuni giorni dopo, ma prevalse la fretta e la confusione, che generarono conflitti, morti e distruzione per i successivi due anni, fino alla liberazione totale dell’Italia (celebrata il 25 aprile 1945 e da allora tutti gli anni fino ad oggi). In questo documento potete ascoltare il messaggio di Badoglio trasmesso dalla radio italiana (EIAR) e vedere alcune immagini. Lo stesso proclama in realtà era già stato trasmesso due ore prima in inglese da Radio Algeri, pronunciato dal generale Eisenhower (futuro presidente degli U.S.A.). Il messaggio “improvviso” provocò, il giorno seguente, la frettolosa fuga dell’allora Re d’Italia da Roma. Un abbandono vissuto probabilmente come un tradimento quantomeno da quella parte di italiani che il 2 giugno del 1946 dovettero scegliere se votare per la Monarchia o per la Repubblica.
Ma chi erano i partigiani?
I partigiani furono combattenti civili con partecipazione volontaria, organizzati in bande e non indossavano uniformi specifiche. Quasi sempre erano armati. Sulla figura e la storia dei partigiani italiani della Resistenza si sono scritte pagine e pagine, prodotti film e altri documenti di vario genere. Sul web è davvero copioso il numero di approfondimenti in merito, a partire dal “nome” e dai partigiani di tempi ancora più remoti. Il nostro intento, nella performance per le scuole, è quello di raccontare gli avvenimenti in maniera meno didascalica e scolastica possibile, al fine di dare al pubblico degli stimoli che possano suscitare curiosità ad approfondire storie, avvenimenti e possibilmente anche un approccio critico alla complessa realtà dell’epoca. Ecco perché abbiamo scelto anche stavolta di partire da “piccole storie” vere e metterle insieme, per poter dare la sensazione che quando si parla di avvenimenti così lontani nel tempo, in realtà si parla di persone vere, esistite realmente e che altrettanto realmente hanno sacrificato o messo a rischio la loro esistenza nell’idea di poter dare un futuro migliore ai posteri, ovvero noi.
Avvenne esattamente 80 anni fa a Roma
Nel 2023 cade il triste anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, avvenuto proprio il 16 ottobre del 1943, quindi pochissimi giorni dopo l’armistizio di Cassibile di cui abbiamo parlato sopra. Quella che per alcuni italiani era stato immaginata come la fine della guerra, in realtà con la resa dell’Italia agli alleati provocò una serie di conflitti per i successivi due anni. La presenza del nemico (ex amico) nazista sul territorio italiano e la dissoluzione dei fascisti, provocarono una serie di nefaste conseguenze.
Le rappresaglie dei nazisti contro gli ebrei continuavano in tutta Europa. Il rastrellamento del ghetto di Roma fu un episodio in qualche modo inaspettato, per quanto prevedibile, da parte dei nazisti che vedevano gli italiani come traditori e gli ebrei come popolo da annientare. Un mese prima, i nazisti (Kappler, in primis, di cui abbiamo narrato in parte la storia nello spettacolo “La libertà è come l’aria”) avevano imposto agli ebrei di consegnare 50 kg d’oro per evitare la deportazione, ma evidentemente questa “promessa” non era servita a nulla. All’alba di quella triste giornata, viene consegnato un biglietto scritto in italiano e tedesco a tutte le famiglie, cui viene imposto, da parte dei nazisti, di lasciare le abitazioni entro soli 20 minuti. Furono mandati ai campi di sterminio di Auschwitz 1023 persone, tra uomini e donne. Ne tornarono vive solo 16, dopo la fine della guerra.StoriE nella StoriA
Una vicenda speciale nel tempo della liberazione dal nazifascismo merita il racconto della città partenopea. Infatti, uomini e donne di Napoli, senza distinzione di ceto sociale e di tutte le età possibili, riuscirono (in soli 4 giorni) a “cacciare via” i tedeschi dalla città prima che gli alleati angloamericani arrivassero in città. Passata alla storia come “le quattro giornate di Napoli”, la vicenda parte dal tentativo dei tedeschi di deportare tutti i giovani tra i 18 e i 33 anni (a seguito dell’armistizio di Cassibile). Lì parte la rivolta, in primis dalle donne, con la minaccia del colonnello tedesco Hans Scholl di eliminare cento napoletani per ogni tedesco che sarebbe stato ucciso. Ma furono gli “scugnizzi” napoletani, ragazzini anche di dodici anni, che misero in difficoltà l’esercito tedesco e permisero alla popolazione di organizzarsi per mettere in fuga i tedeschi dalla città. Per approfondire questa storia, unica in Italia, vi consigliamo di leggere questo link e guardare il film in fondo alla stessa pagina.
La nostra proposta
Nel nostro spettacolo parliamo naturalmente del punto di vista delle donne. Una di queste, da cui il titolo della performance, era Maddalena Cerasuolo, detta appunto Lena. Una donna napoletana con una vita rocambolesca, degna di un film da agente segreto (e in effetti lo era stata!), con combattimenti, voli in paracadute e storie di spie.
Su di lei si è scritto tanto, persino delle celebri canzoni. Per saperne di più, si possono approfondire link come questo, mentre se volete sentire la appassionata e commovente storia raccontata direttamente dalla protagonista (scomparsa nel 1999), potete guardare il film documentario “Barricate” del regista Alessandro Scippa, girato quattro anni prima della morte della vera “Lena” di cui parliamo nello spettacolo.Pascal La Delfa
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- In un giorno di inizio novembre, insieme alla mia classe e ad altre tre o quattro, siamo entrati in aula magna e la prima cosa che abbiamo visto è stata una grossa immagine con la scritta "Lena e le sue storie" proiettata al muro, e subito ho pensato che avrei assistito a uno dei soliti spettacoli messo su sull'Olocausto, ma invece non è stato così. Hanno dominato la scena due bravissime attrici che hanno assunto più ruolo e hanno dato vita, seppur in uno spazio molto piccolo, a uno degli spettacoli più belli che abbia mai visto. Soprattutto perché sono riuscite a raccontare cose così profonde e importanti anche in modo divertente e comprensibile a tutti. Ovviamente, queste due attrici erano accompagnate da altrettante persone importanti quali il regista, la sceneggiatrice e il tecnico audio. Infine c'è stato il momento di riflessione e di dialogo che loro hanno avuto con noi studenti, che ha fatto emergere fatti, domande e aneddoti interessanti su quest'argomento piuttosto delicato, da ambedue le parti. Io, per esempio, ho raccontato la storia dei miei nonni, creduti ebrei, e perciò catturati. Spero che questa compagnia, seppur piccola, vada in più scuole possibili affinché più giovani, magari anche divertendosi, si interessino a una grande tragedia che ha toccato milioni di persone, come è successo a me e ai miei compagni.
- Giulia Milone:Lo spettacolo che abbiamo visto mi è piaciuto tantissimo per vari motivi: in primis le attrici, che poi ho potuto abbracciare, erano davvero brave, recitavano alla perfezione e facendomi sentire immersa nel loro racconto. Il secondo motivo è il tema trattato, ossia la Seconda Guerra Mondiale, un tema che se per alcuni è considerato vecchio, è per me attualissimo. E' attuale perché ancora oggi nel mondo scoppiano guerre che non hanno senso se non quello di arricchire chi le combatte, durante la Seconda Guerra Mondiale sono successe cose orribili e ingiuste per chi le subiva: immagina di essere una ragazza che ama giocare, divertirsi e farsi i fatti altrui, non sei ebrea ma vuoi combattere, sei salva ma ti metti in mezzo: ecco questa è la storia di Lena una ragazza che voleva salvare tutti. Un'altra cosa che mi è piaciuta tantissimo è stato l'incontro con il Vicepresidente dell'associazione' Ciechi di guerra, è un uomo cieco e senza tre dita e tutto per colpa di una bomba che sembrava un giocattolo e che ha causato la morte del cugino maggiore. Anche se non era tempo di guerra loro l'hanno trovata e ciò ci fa capire quante bombe ancora oggi ci possano essere nascoste negli oggetti di uso comune come in una bambola di pezza; una cosa terribile e disumana. E' per questo che studiamo la storia, per capire dagli errori passati e per essere migliori.
- Attrici fantastiche e soprattutto espressive, è stato molto bello vedere finalmente “animate” anche azioni di cui non sempre si parla in questi casi come le giornate di Napoli, grazie per la bellissima esperienza.
- È stata un’esperienza molto bella in quanto la passione e la bravura delle attrici riusciva ad essere accattivante, sono riuscite a trasformare un argomento fragile e pesante della nostra storia in qualcosa di interattivo ed interessante.
- Ringrazio l’associazione “Ciechi di guerra” per avermi fatto vivere questa mattina un’esperienza unica. È stato bello vivere attraverso le attrici e le loro emozioni le storie della resistenza.
- La storia andrebbe spiegata così, con il teatro! Grazie infinite.
- Mi sembrava di essere lì sulle strade del ghetto. Mi sono emozionata guardando gli occhi lucidi delle attrici. Bravissime.
- Grazie associazione per i ciechi di guerra. A scuola abbiamo imparato molto dalla vostra iniziativa.
- Partecipare allo spettacolo Lena finanziato dall’associazione “Ciechi di guerra” è stata un’esperienza molto utile per la nostra classe di quinto, in quanto ci ha permesso di capire ancora meglio gli argomenti storici che tratteremo quest’anno scolastico e che saranno importanti sia per la nostra cultura personale che per l’esame di maturità. Grazie alle due attrici abbiamo potuto percepire più tangibili le storie e gli orrori trattati che percepiamo più lontani da noi del dovuto e in cui noi studenti possiamo cercare di immergerci solo attraverso i libri.
- Andrea Sanna:Lo spettacolo lena, visto qualche settimana fa a scuola e finanziato dall’associazione “Ciechi di guerra “ è stato abbastanza forte e realistico e trattava l’argomento toccante della Guerra mondiale. Ritengo opportuno complimentarmi con le due attrici dello spettacolo, due donne che hanno interpretato più personaggi e attraverso il loro impegno e la loro bravura ci hanno fatto sentire parte della storia e comprendere meglio tutto.
- Istituto Via Dei Sesami- Prof. Natalini: In continuità con l'entusiasmo partecipativo che hanno dimostrato, tornati nelle rispettive aule tutte le classi coinvolte hanno espresso soddisfazione, interesse, apprezzamento, coinvolgimento curiosità per l'evento cogliendone sia il senso, sia la qualità recitativa, attoriale e il valore della sceneggiatura e del tema. La componente emotiva pure ha avuto un ruolo, perché più di un docente mi ha riferito di sensazioni forti provate e di domande importanti che la visione ha suscitato in loro. Non diversamente nei colloqui avuti direttamente con i ragazzi in cui si coglieva sia il piacere in sé per l'iniziativa, sia come il tema e la qualità della rappresentazione li abbia "stupiti" innescando in loro riflessioni e ragionamenti che avranno modo di sviluppare ancora quando in primavera torneranno sull'argomento - da programmi è in quella stagione che riusciamo ad affrontare seconda guerra mondiale e la liberazione - . In sintesi dunque con la più semplice delle parole intanto un sentito Grazie
Un amore luminoso nell’oscurità
Tratta da una storia vera di sopravvissuti durante il periodo dell’Olocausto
A cura di: Mattia Guglielmo
Neanche un secolo fa, fu messo in atto uno dei più grandi stermini della storia: l’Olocausto, dove morirono non centinaia, neanche migliaia, ma bensì 6 milioni di persone innocenti. Ormai tutti conoscono quel che è successo e ognuno di noi almeno per una volta si è chiesto il perché di tutto questo. Perché deportare persone che vivono una vita normale? Perché distruggere la vita a uomini e donne e soprattutto a dei bambini? Uno può avere opinioni divergenti, ma le vere motivazioni sono due. Una è l’estremo razzismo di Hitler che prediligeva un mondo ariano, un mondo perfetto dominato da persone dalla carnagione chiara, capelli biondi e occhi azzurri, in pratica un mondo pieno di “angeli”, esseri viventi perfetti e splendidi, come se in caso, un essere vivente viene definito splendido solo per le caratteristiche fisiche e non quelle mentali ed emotive. L’altra invece è la ragione che accomuna tutte le guerre e gli orrori che hanno caratterizzato la nostra storia: il denaro. Ebbene sì, gli ebrei, o per lo meno la maggior parte di loro, facevano parte di un popolo molto benestante. Era molto comune trovare un ebreo banchiere o possessore di una vera e propria banca, oppure un semplice ebreo che aveva un negozio o comunque che faceva un lavoro ben pagato, oltre a essere anche ricchi da generazioni. E indovinate un pò? Se tutti o anzi quasi tutti questi ebrei, sono stati deportati e uccisi, a chi andavano i soldi da loro perduti? Si. Proprio a lui. Lo psicopatico che era salito al governo di uno dei paesi maggiori al mondo, e che prima del suo predominio, non era neanche tanto ammirato e famoso. Fortunatamente ci sono state persone veramente buone che hanno aiutato a nascondere gli ebrei evitando loro torture e anche la morte. Ma questo i nazisti lo sapevano, infatti hanno ideato un piano che incentivava a fare la “spia”. Ti avrebbero pagato se gli avresti detto dove si nascondevano gli ebrei, e anche in modo diverso in base alla persona, come per esempio se gli avessi fatto una soffiata su un ebreo maschio, ti avrebbero pagato di più. Ovviamente parliamo maggiormente di ebrei perché sono stati i maggiori perseguitati di questi anni bui, ma non dimentichiamoci che non solo loro sono stati deportati e/o uccisi. Nella lista nera c’erano anche gli handicappati, gli zingari, persino gli omosessuali, gli “asociali” e i testimoni di Geova, oltre agli oppositori politici, e quasi tutti non erano neanche ebrei, ma che dovevano essere fatti fuori perché chi per un motivo chi per un altro andava, secondo i nazisti, contro gli interessi della nazione o persino il genere umano. Però purtroppo non furono solo loro a essere presi, ma bensì anche persone ritenute “normali”. Ora vorrei raccontarvi la storia dei miei bisnonni, gente considerata “normale”. La mia bisnonna si chiamava Anna Casale, abitava a San Lorenzo in via dei Campani 72. Era una ragazza giovane, di soli 20 anni, che un giorno mentre faceva una passeggiata spensierata, fu catturata con la forza senza alcun motivo da un gruppo di nazisti che la misero in un camion per essere deportata. Il mio bisnonno si chiamava Ferrante Isaia. Anche lui era un giovane di 20 anni che abitava a San Lorenzo, ma a differenza della futura moglie, fu “preso” di forza a casa sua, solo perché di cognome faceva Isaia, che generalmente è un nome ebreo, e che ricorda il profeta Isaia. Però, Ferrante non era ebreo, anzi era cristiano, come la sua famiglia e quella di Anna che erano cristiane da generazioni. Ma questo non fermò i Tedeschi, che li deportarono in un campo di concentramento in Germania. Due battezzati e cristiani che furono privati della loro vita, della loro libertà, costretti a lavorare senza sosta e in condizioni pietose. Si alzavano alle tre o alle quattro del mattino per andare a lavorare, in condizioni pessime e sotto ogni tipo di clima, come neve, grandine, pioggia, fortissime raffiche di vento, al caldo spaccapietre e al gelo dell’inverno. Fino a quando andavano finalmente a dormire nelle baracche strapiene di persone, dove per la maggior parte delle notti si gelava e non avevano quasi niente, se non una piccola stufetta, che avrebbe dovuto riscaldare l’intera baracca. I miei bisnonni li, hanno visto morire decine e decine di persone, stremate dalla fatica, morte per assideramento, sparate dai nazisti per i motivi più inutili o per via di malattie, tra le quali alcune facilmente guaribili se curate adeguatamente. Ma una delle morti più frequenti era quella per fame. Il mio bisnonno mi raccontò che, se ce la facevano ed erano fortunati, potevano mangiare due volte al giorno, ma quello che mangiavano erano le bucce delle patate o altri ortaggi che sbucciavano per i nazisti e/o gli avanzi degli abbondanti pranzi e cene di quest’ultimi. Fortunatamente là l’unica cosa che ti salvava era la comunità, la fratellanza e il sostegno che le persone si davano a vicenda. Si, ovviamente ognuno pensava soprattutto a sé e alla sua salvaguardia, ma come possiamo biasimarli? Però si aiutavano sempre tra loro quando potevano. Infatti li nacquero amicizie e perché no, anche amori. Come quello profondo che legò per sempre i miei bisnonni. A Roma erano perfetti sconosciuti mentre li, lavorando e faticando, si innamorarono e stettero insieme per tutto il tempo, tant’è che lei rimase pure incinta. Allora è vero che c’è sempre uno spiraglio di luce nelle tempeste. Fatto sta che nel 1946, quel campo fu liberato dagli americani. Fortunatamente li liberarono in tempo affinché la mia bisnonna potesse partorire il loro primo figlio serenamente in un ospedale. Ma non passò tanto tempo, anzi, solo pochi giorni che i due nel 24 gennaio del 1946 si sposarono per ufficializzare il loro amore, e nello stesso giorno, battezzarono pure loro figlio. E dopo di lui nacque mia nonna, che si chiama Paola Isaia, che poi diede la vita a mio padre, e un altro figlio. Resistendo e lottando anche contro la morte per tanto tempo sono riusciti a coronare dei sogni che neanche pensavano di avere qualche anno prima. Infatti vissero una lunga vita piena fino alla loro morte. La mia bisnonna morì nel 2012 all’età di 87 anni, mentre il mio bisnonno, che mi raccontò molte cose, morì nel 2017 all’età di 92 anni. Questo almeno a me, ha insegnato che nonostante tutte le avversità e tutte le difficoltà della nostra vita, siamo solo noi stessi che possiamo riemergere e trovare il bene o l’amore nelle piccole cose. Anche perché a dirla tutta le nostre avversità non sono neanche paragonabili a quelle che hanno subito gli ebrei o tante altre persone perseguitate e uccise nella storia, come ad esempio i 100 milioni di nativi americani sterminati in quattro secoli di storia dai colonialisti. Quindi, se chi è sopravvissuto ce l’ha fatta, ce la possiamo benissimo fare anche noi. Siamo noi che nonostante il male non dobbiamo perdere il nostro diritto alla libertà e alla nostra umanità , che è la cosa principale che ci distingue dagli animali.